Da più di vent’anni faccio visite di screening gratuite ai bambini della prima elementare in collaborazione con il Lions. E’ sempre bello in primavera vedere questi atomi di adulto che sorridono o restano impacciati, rivelandoci in un istante la storia della loro futura vita. Passano ordinati, uno dietro l’altro per venire esaminati allo scopo di individuare i piccoli disturbi visivi con maggiore attenzione rispetto a quelli più evidenti, perché non li possano condizionare nel futuro apprendimento. L’organizzazione dopo tanti anni è perfetta, le ore scorrono veloci sino a quando, discreto, entra l’angelo.
E’ un insegnante di sostegno, magro, giovane, non ci guarda quasi. Guarda sempre la bambina perché lei ne ha bisogno.
Ha una forma di autismo piuttosto marcata ed ha molta paura. Per loro la vita è una piazza di gente che corre in continuo con uno stereo sempre al massimo.
Ma qualcuno a volte trova un angelo. Quando lei si perde nella piazza della vita tra la gente che corre lui arriva, le parla vicino perché possa sentirlo nonostante lo stereo al massimo e le chiede: “ti fidi di me?”. Lei lo guarda, trangugia e fa segno di si col capo e le soppracciglia alzate come se dicesse “si, ma non mi abbandonare…”
Facciamo uscire tutti, silenzio, solo io, l’angelo e la bambina dalle sopracciglia alzate. Dovevamo capire se un difetto di vista poteva ostacolarla nel già difficile cammino dell’apprendimento. Era indispensabile farlo, anche perché l’alternativa sarebbe stato un esame in narcosi. Significava prenderla di forza mascherati da chirurghi per addormentarla in sala operatoria strappandola, per regolamento, all’angelo… Pochi click della strumentazione elettronica e un sobbalzo quando la stampante inizia ad emanare il verdetto. Ho strappato il foglietto senza far rumore e sottovoce: “vedi bene, ciao…” Grazie, grazie veramente, mi ha detto l’angelo continuando a guardare la bambina. Fosse solo per quel momento, farei altri vent’anni di visite.